L’EPIDEMIA AI TEMPI DEI “SOCIAL MEDIA”

Care lettrici e cari lettori,
Approfittando del periodo di forzata clausura ed interruzione temporanea delle attività di routine dell’Associazione, lo staff del sito web di Adoc Veneto ha deciso di rompere il silenzio e fornire il proprio contributo attraverso la pubblicazione quotidiana sulla rubrica “Rognopoli” di informazioni essenziali e riflessioni personali sull’emergenza Covid ’19.
Sono già trascorse due settimane di bombardamento mediatico da parte di “esperti e non” del mondo politico, economico, della sanità, della cultura, dello sport e dello spettacolo, in un crescendo parossistico di dati, raccomandazioni ed appelli (iniziative tutte lodevoli!), che hanno generato nella popolazione tanta confusione ed una sola certezza: per frenare il contagio bisogna starsene per un po’ di tempo #ACASA !!!

Perché starsene a casa? Semplice! Per rallentare la diffusione del contagio e permettere alle strutture sanitarie di organizzarsi logisticamente, al fine di assicurare uguale accoglienza e cure a tutti i cittadini, senza alcuna distinzione.
Qualsiasi virus per sopravvivere, crescere e moltiplicarsi ha bisogno di un “ospite”.
La sua capacità di sopravvivenza nell’ambiente è limitata nello spazio e nel tempo e, se non riesce a trasferirsi da “ospite ad ospite”, perde la cosiddetta virulenza, cioè “l’aggressività che hanno alcuni microrganismi capaci di provocare, nell’organismo in cui penetrano, stati patologici anche assai gravi”.
E quale migliore ambiente di sopravvivenza per un virus se non lo stesso luogo dove tanti ospiti si ritrovano contemporaneamente a stretto contatto?!

mani che collaborano
Foto di Gordon Johnson da Pixabay

Covid ’19 è un virus ancora poco conosciuto dalla comunità scientifica. Fino a che non si riusciranno a stabilire dei protocolli di prevenzione, diagnosi e cura efficaci per tutta la popolazione, l’unica arma di difesa a nostra disposizione consiste nel limitare il “trasferimento agevolato del virus” e nel creare un ambiente ostile alla sua sopravvivenza e alla sua diffusione.
Come ci insegnano impietosamente i dati delle più significative pandemie degli ultimi cento anni, la fretta, l’impazienza e la superficialità nell’affrontare il problema non aiutano a trovare soluzioni, ma a creare un senso di smarrimento, di rabbia e talvolta di sprezzo delle regole, specie se imposte da organi istituzionali.
E’ la classica reazione, quest’ultima, della generazione di coloro i quali sono cresciuti nella cultura di un corpo indistruttibile, giovanile almeno per sei decenni. Oggi il processo di invecchiamento e la fine della vita sono diventati un tabù; uno sconcio da tenere privato e quasi segreto.
Penso che in questo momento di grande incertezza sia importante conoscere le esperienze passate nel secolo scorso in materia di pandemia dai nostri antenati,che non hanno potuto avvalersi dei mezzi che la scienza mette oggi a nostra disposizione.

Cito brevemente le tre più significative pandemie del secolo scorso:

La “spagnola” del 1918

Forma virale con complicanze batteriche, notata già nell’estate del 1918 nel Mid-West americano (passava dalle persone ai suini), ma già fin dalla primavera a Canton (oggi Guangzhou), in Manciuria e a Shanghai.
Colpì mezzo miliardo di persone, un terzo dell’umanità.
Tasso di riproduzione simile a quello del coronavirus.
Si stima abbia portato alla morte fra venti e cento milioni di persone.
In Italia quasi quattro milioni di contagiati e più di 650.000 decessi.
Le misure per contenere il contagio allora?
L’Italia corse ai ripari come poteva. Quanto poi alla popolazione in genere, anche qui le tecniche non sono molto cambiate. Oggi si consiglia di non baciarsi, non dare la mano, non andare al cinema e tenersi a un metro gli uni dagli altri. Allora agli italiani il governo chiedeva di «ridurre al minimum gli affollamenti in genere e i contatti dei sani coi malati (ad esempio nelle visite agli ospedali)». Si era notato infatti un interessante fenomeno: «In un accampamento, dove l’epidemia infieriva, bastò ampliare il terreno occupato dalle truppe, e in questo modo diradare l’affollamento dei soldati, per veder subito la malattia scomparire del tutto».

L’”asiatica” del 1957

Pandemia che uccise più di un milione di persone, dopo averne contagiate fra 250 milioni e un miliardo nel mondo. Per confronto, l’Asiatica del ‘57 fu oltre trecento volte più letale del Covid’19, eppure pochi oggi sembrano serbarne il ricordo.

L’influenza di Hong Kong del 1968-69

Più di 250 milioni di contagiati, quasi un milione di morti nel mondo. Non conquistò mai grandi spazi sui media. Era già andata così anche per la pandemia di poliomelite del 1952, che solo negli Stati Uniti infettò 58 mila persone e ne uccise tremiladuecento.

Acclarato che il virus non chiede la carta d’identità agli ospiti che infetta e che dai comportamenti di ciascuno di noi dipende la nostra ed altrui salute, invito chi mi legge a diventare protagonista e non più spettatore passivo del futuro della nostra bellissima nazione. Basta parlare e lamentarsi. E’ tempo di agire! Rispetto delle regole. Ricordo a tutti che questa NON E’ UNA GUERRA, né da playstation, né da combattere virtualmente sui social media.
A risentirci

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